Storia del Passo

Il Passo del Gran San Bernardo, i suoi abitanti. Brani raccolti senza pretesa di "verità storica"

Le origini del passo

Le origini del Gran San Bernardo risalgono alla preistoria. Pare che questo passo fosse il più agevole per la traversata delle Alpi. A seguito degli scavi effettuati nella valle d’Entremont sono state rinvenute armi ed altri oggetti che appar­tengono all’età del bronzo,e che sono state forgiate da popoli di lontane regioni ; questo prova che il passo è stato valicato da carovane di commercianti ben 800 anni prima di Cristo.

Nel 388 avanti Cristo, tribù di burgundi,di linoni e di bolani valicarono il passo per stabilirsi nel paese degli etruschi. I soldati di Brenno, dopo la battaglia com­battuta nell’anno 390 A. C. contro i romani e i gesati (mon­tanari gallici della valle del Rodano), seguirono il mede­simo cammino. Molto tempo prima che le legioni romane conquistassero il passo Poeninus (nome che aveva prima il Gran San Bernardo), oltre il quale lasciarono un distacca­mento militare, i commercianti romani lo valicarono per stabilire rapporti di scambio con i galli.A testimonianza di ciò furono rinvenute, durante gli scavi del terreno detto di Giove (piccola lastra rocciosa oltre il lago situata intorno all’attuale monumento di S. Bernardo), centinaia di monete galliche. Molti indizi si hanno circa il culto praticato prima dell’arrivo dei romani da una tribù d’Unterwallis, i veragri, al loro dio Penn, al quale testimoniavano la loro fede sul passo.Nel tempo antico tutta la catena montana che va dalla valle del Rodano fino al Monte Bianco era denominata “Mons Poeninus”.Per l’interpretazione di questo nome è stato molto discusso. Alcuni lo fanno derivare dalla lingua celtica, il cui sostantivo Penn significa lima o testa ; altri ne sostengono la provenienza dal latino e, precisamente, da Poeninus o Poenus che vuol dire fenicio. Con l’ultima interpretazione si cerca di provare che Annibale, nel 218 A. C., ha guidato i fenici attraverso questo passo nella sua marcia contro Roma. Esiste, infatti, nelle immediate vicinanze dell’Ospizio, in direzione del Mont-Velan, un alto passo alpino il cui nome è stato tramandato dalla leggenda popolare come « passo di Annibale ». Avrebbe dunque veramente il gran capitano cartaginese, con i suoi elefanti, attraversato le Alpi in questa zona ?Ovviamente la domanda non potrà avere mai una risposta precisa.Giulio Cesare, dopo aver sottomesso all’impero di Roma le tribù elvetiche, si trovò nella condizione di dover fronteggiare il brigantaggio che si andava sviluppando, minacciando la sicurezza del commercio romano, attraverso la via del Gran San Bernardo.A questo scopo dovette conquistare ed occupare militarmente tutta la regione alpina che va dal lago di Ginevra fino alla vallata d’Aosta (Augusta Pretoria). Dapprima incaricò Sergio Galba di occupare con 12 legioni ed una truppa di cavalieri la regione d’Octodurus (Martigny).

Era il 57 A. C. Roma vide compiuto il progetto di Cesare solo 40 anni più tardi quando tutta la zona strategicamènte tanto importante fu nelle sue mani. Nell’anno 69 d. C. Aulienus Caecina attraversò senza indugi il Gran San Bernardo per sostenere con le armi la candidatura di Vitellio al trono romano. Intorno all’anno 286, Massimiano Ercole con i suoi soldati percorse lo stesso cammino in occasione dell’esecuzione capitale in massa delle schiere cristianedella legione tebea, avvenuta presso Saint-Maurice. L’imperatore Augusto, verso l’anno 12 d. C., fece costruire una strada carrozzabile, chiamata Augusta Praetoria, la quale attraverso il Gran San Bernardo scendeva a Octodurus (Martigny) e conduceva a Tarnade (Saint-Maurice), Viviscus (Vevey), Aventicum (Avenches), Salodurum (Solothurn) ed a Augusta Raurica (Basel August). Così l’Europa occidentale era collegata a Roma ed al vicino Levante attraverso il Gran San Bernardo. Una pietra miliare romana, del tempo di Costantino il Grande,è ancora visibile sulla strada immediatamente vicina alla chiesa di Bourg-Saint­Pierre. Essa indica le 24 miglia di distanza tra il Forum Claudii Vallensium (altro nome di Martigny) e Augusta Praetoria (Aosta). Sulla zona piana del terreno detto di Giove, situato dietro la statua di S. Bernardo, si trovano antiche rovine di questa strada romana che, soprattutto ai lati del passo, è ancora ben visibile.Molto interessante, dal punto di vista storico, è lo Jupiterboden », piccolo spiazzo roccioso dietro il lago occidentale dell’Ospizio. Ivi i romani innalzarono un piccolo tempio al loro dio Giove e, per non inimicarsi un’indigena tribù celtica che popolava quelle montagne, il cui passo era già da secoli consacrato al loro dio Penn, gli attribuirono il soprannome di Poeninus. In prossimità del tempio eressero una “mansio” , costruzione-ricovero dove si iparavano e si ristoravanoi messaggeri imperiali ed i legionari in transito. A seguito della consacrazione del Valico a Giove e della costruzione in suo onore del tempio, le cui mura maestre ancora oggi si possono vedere,il passo conserva tuttora il nome di Mons Jovis, in francese Mont­Joux. Il tempio di Giove fu distrutto sotto il regno di Teodosio, mentre la « mansio » scomparve al tempo delle migrazioni e delle irruzioni germaniche. Dalle rovine di quest’edificio, alcuni decenni or sono, vennero alla luce più di 2000 monete romane e galliche ; inoltre si trovarono : un giavellotto romano, frecce a punta, catene da applicarsi alle caviglie degli schiavi, diversi oggetti d’ornamento e statue di bronzo, una reliquia dalla forma di mano con serpente, ed una notevole raccoltadi tavole votive. Le più antiche di queste tavole sono consacrate alla divinità romana di nome Giove Poeninus, mentre altre riproducono scritte propiziatrici per viaggi o per altre imprese. Su alcune si può leggere, per esempio : “pro itu et reditu” (per l’andata ed il ritorno) ; “Poenino pro itu et reditu C. Julius Primus v..l.m.”, ecc.

Nell’anno 574 i predoni longobardi valicarono il Mont­joux e penetrarono nella valle del Rodano fino ed oltre Bex, dove furono fermati e sterminati dai soldati di Guntram,re dei burgundi. Verso la fine di novembre del 753 il papa Stefano II percorse, con un seguito innumerevole, il medesimo cammino per ricevere aiuto da Pipino, re dei franchi, contro i longobardi. Anche Carlo il Grande mandò, attraverso il Mont-Joux, nel 773, un piccolo esercito al comando di suo zio Bernardo. La pace in Italia avrebbe dovuto essere nuovamente restaurata. Lo stesso re valicò le Alpi con altre truppe attraverso il passo del Monte Cenisio che si erge più a sud. Ma nell’anno seguente, dopo che egli era stato incoronato re d’Italia, ritornò in Francia attraverso il Gran San Bernardo. In quest’occasione il papa Adriano I ordinava che i pellegrini delle Alpi costruissero ospizi « affinché, affidando la loro manutenzione ed efficienza ai monaci, si permettesse a questi ultimi di onorare Dio con la preghiera e servire il prossimo con l’ospitalità ai passanti ». Esisteva a quel tempo sul passo, come riparo, solo una capanna, della cui cura erano responsabili i benedettini di Bourg-Saint-Pierre, e l’elemosiniere di quel monastero, Hartmann, chiamato a coprire nell’anno 851 la sede vescovile di Losanna. Nella prima metà del Xmo secolo, bande di predoni ungheresi e saraceni invasero le vallate del Vallese e d’Aosta, distruggendo tutto al loro passaggio, abbattendo chiese e saccheggiando i poveri villaggi di montagna. Così furono incenerite le abbazie benedettine e la chiesa di Bourg­Saint-Pierre ; entrambe furono rase al suolo. La stessa sorte toccò, nell’anno 940, all’abbazia di Saint-Maurice.

Ugo, conte di Provenza, subito dopo essere stato collocato sul trono d’Italia da Rodolfo II, re dei burgundi, diede incarico ai saraceni di chiudere ai transito tutti ipassi importanti delle Alpi, e, soprattutto, quello del Mont­Joux, onde impedire al suo diretto avversario e rivale, il margravio Berengario d’Ivrea, il passaggio delle Alpi. Così il Gran San Bernardo fu occupato per tutto un secolo dai saraceni, i quali, come nemici del cristianesimo, divulgarono lassù il loro culto islamico e fecero pagare a caro prezzoil transito ai viaggiatori, i quali furono spesso depredati, trattenuti per ottenerne un riscatto o uccisi. Il santo Malolus, abate del famoso convento dei Benedettini di Cluny, subì uno di questi trattamenti durante un transito sul passo. Egli infatti, mentre passava con una innumerevole folla di pellegrini provenienti dall’Italia, fu trattenuto come prigioniero in una caverna non lontana da Orsières,finché il riscatto stabilito in 1000 pezzi d’argento, non fu pagato dai suoi confratelli di convento. I saraceni osarono rifiutare il passaggio alle truppe normanne che si erano appressate ad un valico stretto e disagevole all’ingresso del lago occidentale presso stiolum dove, come scrisse lo storico Gregorio di Tour, tutti i viaggiatori dovevano pagare un pedaggio. I normanni, bene armati, si aprirono la strada a colpi di spada, ma intanto si puòfacilmente capire come un tale stato di cose non potesse più durare molto a lungo su di una delle più importanti arterie di comunicazione del mondo di allora. Molte migliaia di pellegrini inscenarono manifestazioni di protesta per dimostrare con ciò il loro malcontento alle autorità responsabili, per chiedere la difesa dei loro dirittie per testimoniare la vergogna dello smacco che loro infliggevano sempre i saraceni. Così re Knut di Danimarca, che si trovava a Roma in visita al papa, fece pressione presso il re dei burgundi, Rodolfo III, affinché mettesse ordine nel suo territorio. Rodolfo III promise di fare quanto era in suo potere per scacciare le bande saracene dalle valli d’Entremont e Buthier, ma sarebbe riuscito a ben poco se non fosse intervenuta la divina provvidenza che aveva prescelto S. Bernardo da Mentone per sgomberare definitivamente il Mont­Joux da quelle bande di predoni.

Posizione geografica e clima

Il Gran San Bernardo è senza dubbio il più interessante tra i passi delle Alpi. E’ situato ad un’altezza di m. 2472 ed è simile ad un prezioso gioiello incastonato tra le potenti catene montuose del Monte Bianco (m. 4810) ad occidente ed a nord, del Gran Combin (m. 4317) ad oriente e del Gran Paradiso (m. 4061) a mezzogiorno. Nelle immediate vicinanze si ergono la Chenalette (m. 2889) a nord-ovest e l’impervio Mont-Mort (m. 2870) a sud-est. Due vallate uniscono lassù l’Italia con la Svizzera e l’Europa occidentale la valle d’Entremont, un contrafforte della valle del Rodano, e la valle Buthier, quella che attraverso la vallata d’Aosta conduce alla pianura padana. E’ questa svantaggiata posizione del passo, orientato a nord-ovest e sud-est, che permette il libero ingresso ai venti umidi e violenti, per i quali il Gran San Bernardo è considerato in una posizione il cui clima è tra i più rigidi del mondo.

Le temperature invernali di 30 gradi sotto zero sono frequenti, mentre in piena estate, in un giorno afoso, il termometro raggiunge a mala pena i 16 gradi all’ombra. La temperatura media annuale giace sotto il punto di congelamento. Durante gli ultimi 50 anni il lago dell’Ospizio era gelato 265 giorni in media l’anno ; certe estati non sgela affatto. Le annuali cadute di neve oscillano tra i m. 14 - 26 ed a volte ancora in aprile ne restano m. 6 - 8 il cui spesso strato si scioglie solo verso la metà di luglio. Perché, ci si domanda, l’Ospizio è stato costruito proprio nel punto del passo meno esposto al sole, quindi più soggetto al vento, al freddo ed anche alle valanghe ? La risposta è semplice : l’Ospizio deve servire coloro che valicano il passo, questa è la sua funzione e per questo è stato costruito. Nel punto dove esso sorge, il più alto ed il più stretto del valico, è facilmente visibile anche in mezzo a fitta nebbia, nevischio e tormenta.

Flora e fauna

Le suddette condizioni climatiche lasciano intendere che, sui pendii a nord simili ad un paesaggio lunare, anche durante l’estate la neve ed il ghiaccio lascino scoperti solo i dirupi. I dolci pendii a sud, invece, si ricoprono in luglio ed in agosto, sotto l’influenza del sole meridionale già pungente, di una magnifica flora. La roccia mista (ardesie primarie e formazioni di gneiss) è, in molti luoghi, coperta da un sottile strato di terra attraverso la quale si apre il varco alla vita più di 1200 varietà di piante, con alcune sottospecie locali molto rare. Il terreno del passo è coperto dalla tipica flora alpina. Vi crescono solo piccole piante di genere molto difficile a trovarsi, per esempio anemoni, ranuncoli di ghiacciaio, genziane, una sottospecie di salici polari nani.

Tutte queste piante contrastano vivacemente con la roccia scura invasa da licheni polari. Il terreno a sud del passo è particolarmente fertile ed offre ai botanici un aspetto molto interessante. Sulle alpi della Baux e di Praz d’Arc si trovano l’artemisia glaciale, la grande Akelei blu », le stelle alpine e, sui depositi calcarei di colore bruno, fanno spicco molte rare e locali sottospecie d’erbe. Assai interessante è il mondo degli insetti del Gran San Bernardo, poiché qui s’incontrano molte varietà di sotto­specie alpine ed artiche che sono capaci di adattarsi alle speciali condizioni climatiche locali. Questo, per esempio, è il caso delle farfalle e dei ditteri. Tra le suddette specie troviamo la lepre bianca Schneehasen, il cui abituale pelo di color grigio-marrone diventa in inverno bianchissimo, la pernice bianca che subisce lo stesso adattamento polare, la marmotta, il fringuello. Si possono vedere spesso aquile, camosci, volpi, come pure gli ermellini, le piccole donnole e le bisce. Queste ultime però sono rintracciabili solo sotto i 2400 metri. Le rondini trovano spesso rifugio dietro l’edificio dell’Ospizio, anzi nell’Ospizio stesso quando sono sorprese sul passo dalle violente bufere di neve, e scendono poi nella valle d’Entre­mont dopo il breve riposo che salva a molte la vita. Dal 1822 il lago dell’Ospizio è stato popolato con avannotti di una sottospecie d’Elritzen canadesi. Essi provengono da un lago alpino nelle vicinanze del piccolo San Ber­nardo, e sono gli unici pesci che possono sopravvivere a questo clima rigido. Negli anni 1934-1936 alcuni piccoli laghi della zona sono stati popolati con trote iridate. Due di questi laghi sono posti più in alto dell’Ospizio ed i pesci vi crescono bene senza però prolificare perché pare che a quell’altezza non possano deporre uova.

Gli "abitanti" del Passo, Bernardo da Mentone

Si racconta che egli nacque in un castello che ancora oggi si scorge su una collina presso Mentone, non lontano dalla riva nord del lago d’Annecy. S. Bernardo vide la luce nell’anno 996 da Riccardo, barone di Mentone, e Bernolina che discendeva direttamente dalla famosa stirpe dei Duingt. A lei dovette il giovane la sua profonda devozione e, più tardi, anche la sua decisione di entrare in convento. Come giovane nobiluomo suo padre lo mandò a Parigi onde perfezionare gli studi, ed al suo ritorno, durante un fastoso ricevimento organizzato per accoglierlo degnamente, gli presentò una giovane nobildonna Margherita di Miollens, che egli aveva scelta per il figlio come moglie, bella, ricca e virtuosa. I due giovani erano una coppia magnifica ed essi si sentivano reciprocamente attratti.

Ma Dio aveva destinato le loro anime a maggiori altezze, e Bernardo aveva intuito ciò già da alcuni anni. Con un pretesto qualsiasi egli si allontanò dalla festa durante la quale sarebbe stato annunciato il loro fidanzamento e chiese a suo padre di potergli parlare. In quell’occasione gli confidò di sentirsi chiamato da Dio per entrare nell’ordine del luogo. Il padre si mise decisamente contro la vocazione del figlio che gli ostacolava lo svolgersi dei suoi disegni e fissò egli stesso la data delle nozze. Cosa avrebbe dovuto fare Bernardo se non andarsene ? La sera precedente il matrimonio, quando già la sposa e gli invitati soggiornavano nel castello, egli, ritiratosi nella sua stanza, pregò Dio di aiutarlo ad uscire da quella situazione. Fu illuminato come da un lampo improvviso scrisse una lettera di spiegazione ai suoi genitori e gettandosi dalla finestra del castello paterno fuggì nella notte profonda e densa di nebbia. Com’egli, in questo salto, non si sia ucciso è ancora oggi un enigma. S. Bernardo riparò sui monti, lontano dal mondo, presso un parente di sua madre, l’arcidiacono Pietro che viveva ad Aosta e che lo accolse in quella città sottraendolo all’ira del padre. Quando Margherita, il giorno dopo il fidanzamento, seppe della decisione di Bernardo, entrò anch’essa in convento per offrirsi a Dio come sposa. Il padre adirato era impotente e perdonò a suo figlio solo dopo molti anni, quando venne a conoscenza della fama di santità in cui egli viveva al di là delle Alpi.

In Aosta, Bernardo fu accettato tra i canonici della cattedrale e più tardi, alla morte del suo protettore, gli successe nella carica d’arcidiacono del vescovado. Ancora controversa è la questione circa la sua consacrazione ; tuttavia è certo che egli fu, per il vescovo, un insostituibile ed attivissimo collaboratore nel dirigere gli ospedali, gli ospizi e tutte le opere sociali del vescovado. Bernardo fu prima di tutto un predicatore popolarissimo ed instancabile che, con impegno straordinario, si prodigava attraverso le più lontane vallate alpine per convertire al cristianesimo gli abitanti ancora in parte pagani. Le sue premure per i poveri e per gli infelici, la sua incredibile abnegazione, l’estrema semplicità del vivere, senza un letto per dormire, solo duro pane di segale ed acqua mescolata con erbe amare per nutrirsi, la sua facoltà di fare miracoli, tutto insomma della sua vita lo faceva venerare e conoscere in tutta la Savoia ed alta Italia. Egli era il grande apostolo delle Alpi, era un alpinista senza paura se si trattava di sottrarre anime al potere del demonio. Questa dura, pericolosa attività missionaria tra le genti della montagna gli fece nascere il pensiero di erigere i due Ospizi del Piccolo e del Gran San Bernardo. Un giorno alcuni pellegrini francesi, in viaggio per Roma, giunsero feriti all’ospedale d’Aosta dove raccontarono all’arcidiacono di esser stati assaliti scendendo dal Mont-Joux da bande di saraceni e di aver perduto un compagno nel tentativo di mettersi in salvo. Allora Bernardo fu colto da una collera violenta e santa ; radunato un numero sufficiente d’uomini coraggiosi sali sul Mont-Joux e scacciò i saraceni. La leggenda racconta che egli, giunto sul passo, legò la sua stola ad una colonna che si diceva maledetta perché su di essa il diavolo pronunciava le sue profezie, e la rovesciò. Il demonio usci sotto forma di una bestia cornuta che Bernardo incatenò ed imprigionò in una montagna dei dintorni, dove rimarrà fino al giudizio universale. Sempre la leggenda dice che la montagna sarebbe il vicino Mont-Fourchon dalle cui pendici cadono abbondanti valanghe. Per completare la sua opera, Bernardo eresse sulla sommità del passo un convento, il cui scopo doveva essere quello di santificare la montagna per mezzo della preghiera e di soccorrere i pellegrini. Questo convento ed ospizio fu terminato nell’anno 1049.

Eguale comportamento ebbe Bernardo sul passo chiamato Colonna di Giove, l’odierno Piccolo San Bernardo, dove distrusse idoli pagani e l’occhio di Giove, e nello stesso luogo eresse un secondo ospizio. Benché Bernardo sia stato il fondatore di una congregazione di canonici regolari di S. Agostino ed abbia costruito due ospizi, tuttavia egli si prodigava incessantemente come missionario nei vescovadi d’Aosta, Sion, Ginevra, Tarantasia, Milano e Novara fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1081 lo incontriamo a Pavia, dove egli si recò per scongiurare l’imperatore Enrico IV di non assalire il pontefice Gregorio VII con le sue truppe lo minacciò di un terribile flagello divino, ma ogni cosa fu inutile. Da Pavia, predicando, raggiunse Novara dove, dopo un’ultima avvincente arringa rivolta al popolo, cadeva al suolo ed alcuni giorni dopo, precisamente il 12 giugno 1081, esalava l’ultimo respiro. Dopo soli pochi anni dalla morte, la Chiesa lo innalzò agli onori degli altari e fu canonizzato nel 1123 dal vescovo Riccardo di Novara. Dapprima il convento di Mont-Joux fu chiamato « Casa del Santo Nicola di Mont-Joux , ma nell’anno 1149, nei documenti, fu unito il nome del santo fondatore. Dopo la morte di Bernardo molti miracoli sono avvenuti per sua intercessione, la maggior parte di essi riguardano i pericoli della montagna. Il suo onomastico è festeggiato il 15 giugno. La parte principale della sua reliquia si trova sempre a Novara dove egli mori ; altri resti si trovano nella chiesa del convento del Mont-Joux, ad Aosta ed in altre parrocchie montane. In uno scritto del 20 agosto 1923 diretto al vescovo d’Annecy, il papa degli alpinisti, Pio XI, ha dichiarato S. Bernardo protettore degli abitanti e degli amici della montagna. Lo stesso papa contribuì alla costruzione di un monumento in onore del santo, eretto oltre il lago, sul terreno di Giove. Egli stesso componeva il testo della bronzea lapide-ricordo che così dice « Pio XI supremo pastore, antico ed assiduo alpinista, mi ha affidato nell’anno 1923 gli abitanti delle Alpi e i viaggiatori della montagna. A tutti dico di salire sicuri sulle cime, d’arrampicarsi ancora più in alto con me, fino al cielo.

La Congregazione del Gran San Bernardo : Dalle origini ai nostri giorni

La congregazione fondata da S. Bernardo fu presto conosciuta in tutto il mondo. Già nell’anno 1177 il pontefice Alessandro III, con una bolla, dichiarava di proprietà della congregazione 78 benefici, chiese, ospedali, ospizi e poderi donati in ogni anniversario da un ricco fondatore. I beni erano nelle campagne di Vaud, di Friburgo, del Vallese, della Savoia, in Italia, in Francia e in Inghilterra. Gli ospizi di Salins (vescovado di Besancon), Chatillon (vescovado d’Aosta) erano già molto noti, come pure quelli di Losanna e di Vevey, il cui scopo principale era quello di accogliere ed ospitare gratuitamente pellegrini, poveri e viaggiatori. Tra i primi benefattori della nuova fondazione vi fu il conte di Pfirt, il quale aveva avuto modo di conoscere i canonici quando accompagnò il papa Leone IX attraverso il Mont-Joux. Tra i grandi benefattori si possono annoverare i re d’Inghilterra Enrico Il (dopo il 1160) e Riccardo Il (dopo il 1392) ; gli imperatori romani presero l’Ospizio e tutte le sue proprietà sotto la loro protezione e più tardi fecero altrettanto i duchi di Savoia, purtroppo non sempre illuminati. Anche i papi fecero molto per conferire sviluppo alla meritevole congregazione.

I canonici ospitarono nel 1148 il pontefice Eugenio III, il quale per tutto il tempo della sua vita fu loro particolarmente riconoscente. Innocenzo III ordinò alla congregazione di estendere a tutti i cristiani l’opera di soccorso e si prodigò in infiniti aiuti. Questo zelante papa apportò nel 1212 le prime riforme all’ordine dei canonici per permettere loro di restare fedeli all’alto ideale. Anche Innocenzo IV raccomandava ovunque i canonici di Mont-Joux i quali si espongono ai pericoli della montagna per aiutare i poveri viaggiatori che affluiscono da tutte le parti ». Il preposito (titolo, del superiore generale) Martin aumentava le entrate del convento in modo tale che una bolla pontificia nell’anno 1286 univa altre 83 proprietà. Un altro preposito Aimon di Séchal ricevette il titolo di patriarca di Gerusalemme per il suo zelo nella crociata a favore degli armeni. Più tardi egli divenne arcivescovo di Tarantasia nella Savoia. Nell’anno 1397 egli regalava alla chiesa di Mont-Joux una spina della corona del Salvatore e la sua croce di vescovo. Entrambi i doni si possono ammirare ancora oggi con tanti altri pezzi preziosi nel tesoro della chiesa del convento.

Nel 1438 fu eletto preposito Jean de l’Arc, arcivescovo di Tarantasia, il quale morì dopo aver ricoperto la carica di cardinale. Questo prelato pieno di virtù promuoveva una riforma tra i canonici e dava loro una nuova costituzione. Egli prescriveva loro, tra le altre cose, di portare la cotta anche fuori della chiesa del convento. Solo più tardi, per motivi di praticità, un indulto papale permetteva ai canonici di abbandonare la cotta fuori di chiesa e di sostituirla con una bianca fascia in segno della dignità di canonico. Questa fascia, di nome rocchetto, viene ancora oggi portata sopra la sottana. Una nuova costituzione dettata dal papa nel 1438 permetteva ai canonici la libera scelta dei loro prepositi. Più tardi i duchi di Savoia si appropriarono di questo diritto con il pretesto di privilegi patronali e storici, dando inizio ad ogni sorta di abusi. In questo periodo furono eletti come prepositi, Franco di Savoia d’anni dieci, Ludovico di Savoia, Filippo di Savoia di sei anni e molti altri che ricoprivano la carica solo per usufruire delle ricche entrate del convento destinate, fino ad allora, solo ai poveri. L’ultimo di loro fu Renato di Tollen che instaurò un regime di vita assolutamente mondano per cui il comportamento dell’ordine lasciò molto a desiderare.

Nell’anno 1557, nel giorno di San Michele, un incendio distruggeva l’Ospizio di Mont-Joux, e nella successiva estate ebbero inizio i lavori per la Costruzione dell’attuale edificio, che, nell’anno 1825, era innalzato di un altro piano. Dopo Renato di Tollen, che moriva nel 1586, altri nove furono i prepositi della valle d’Aosta. Fra loro si distinse il preposito Norat. Sono da attribuire a lui la ricostruzione della chiesa del convento e gli artistici stalli del coro, mentre ottenne nel 1674 il permesso di far portare ai canonici la cappa rossa in luogo della pelliccia tradizionale. Egli stabiliva anche che i giovani candidati al sacerdozio dovevano compiere gli studi a Saint-Jacquème (Aosta). Questo priorato si sviluppò e divenne presto un liceo pubblico, i cui docenti erano canonici di Mont­Joux. In questo periodo risiedeva ad Aosta anche il preposito e qui si tenevano le cerimonie di vestizione e di professione. Il periodo di noviziato invece doveva essere trascorso come prima sul Mont-Joux.

Nell’anno 1724 ricopriva la carica di preposito il meritevole Luigi Bonifazio che fu un superiore colto, pio, fedele al suo dovere. Durante il suo ufficio egli fece in modo che la costituzione del 1438 fosse ripresa. Egli mori in Aosta il 4 agosto 1728. Da quel tempo cominciò per la congregazione un difficile periodo di prova. I duchi di Savoia volevano far uso di un diritto usurpato di nominare i prepositi, malgrado la resistenza della Santa Sede e dei canonici. Inoltre i canonici stessi non si accordavano circa le norme disciplinari a loro imposte. Per liberare la congregazione da questo pericolo sia esterno che interno, Roma dovette intervenire energicamente. Il papa Benedetto XIV pubblicava un decreto nel quale si diceva che tutte le proprietà della congregazione situate sul territorio sardo passavano all’ordine militare Mauriziano. I canonici che abitavano in quei luoghi venivano sciolti dal loro voto e sottomessi ai vescovi locali. Gli altri canonici, quasi tutti vallesani, rimanevano in possesso della casa madre di Mont-Joux, mentre la congregazione perdeva di un sol colpo la maggior parte dei suoi beni e dei suoi membri, però rimaneva unita e liberata da ogni intervento laico. Siccome i beni rimasti nel vescovado di Sion non erano sufficienti a continuare il mantenimento gratuito di coloro che chiedevano ospitalità, con il permesso del papa si iniziava una questua in Francia, Svizzera e Germania.

Dopo la bolla di separazione del 1752, ben nove prepositi hanno diretto la congregazione. Uno dei più noti è Thevenot, nativo di Lothringen. Per primo egli ottenne dalla Francia una sovvenzione annuale. Nell’anno 1762 il papa Clemente XIII permetteva a lui ed a coloro che lo avrebbero seguito nella carica di portare il distintivo pontificio, il pastorale e la mitra. Luigi Luder, il quale fu preposito dal 1775 al 1803, condusse la congregazione, senza esporla a danni, attraverso i tristi tempi della rivoluzione francese. Egli accolse Napoleone e provvide ai suoi soldati che valicarono il passo per combattere la battaglia di Marengo. Jean-Pierre Genoud (1814 - 1830) mori mentre si provvedeva ad innalzare di un piano l’Ospizio e si stava per condurre a termine la costruzione del grandioso rifugio del Sempione. Suo successore fu Beniamino Filliez che dovette fronteggiare le pretese del regime provvisorio dei vallesani (1847), i quali gli chiedevano una tassa di 80.000 franchi e lo minacciavano nel caso di rifiuto di impadronirsi di una grande parte delle proprietà del convento situato nella valle.

Nel 1888 era eletto come preposito Teofilo Bourgeois che diresse la congregazione per ben 51 anni. A lui si deve la modernizzazione dell’Ospizio con telefono, luce elettrica, riscaldamento centrale, rifornimenti con automezzi, tutto ciò insomma che migliorava le condizioni di vita ad un’altezza di 2472 metri. Il20 gennaio 1933 egli aveva la gioia di benedire, prima della loro partenza, i primi missionari della congregazione diretti nel Tibet due preti ed un laico. Grazie al suo zelo apostolico la missione tibetana viene intensificata fino ad aggiungere, prima della sua morte (1939), altri 4 missionari al primo gruppo. Dal 1939 al 1952 il preposito dei canonici fu l’abate Nestor Adam, nominato nel 1952 vescovo di Sion. Attualmente è preposito della congregazione il reverendissimo Mgr Jean-Marie LOVEY.

Storia del passo dalla fondazione dell’Ospizio

Fino a tutto il medioevo la più importante arteria che univa l’ovest ed il nord Europa a Roma passava per il Gran San Bernardo. Ogni anno infatti portava molte migliaia di viaggiatori a valicare il passo e di pellegrini verso Roma. Tra gli ospiti più illustri che ebbero occasione di conoscere e di approfittare dell’ospitalità dei frati del convento ricordiamo papa Eugenio III (1148) e Clemente V (1306). Anche molte migliaia d’artigiani e di contadini, che cercavano da un paese all’altro un’occupazione stabile, trovarono durante il loro passaggio la consueta cortesia e cordialità. Nell’anno 1794, a causa degli orrori della rivoluzione francese, più di 50.000 fuggiaschi e ricercati politici provenienti dalla Francia valicarono il passo. Spesso eserciti completi transitarono sul Mont-Joux. Nel 1476, nelle vicinanze dell’Ospizio, vi fu un sanguinoso scontro dei vallesanj contro i savoiardi ed i lombardi ; le vittime furono cosi numerose da rendersi necessaria la costruzione di un nuovo ossario per poterle accogliere tutte. Durante il XVImo secolo ebbero di nuovo il sopravvento i vallesani. Dal 1797 al 1802 valicarono il Mont-Joux 150.000 soldati, tra i quali, nell’anno 1800, quelli dell’esercito di Napoleone Bonaparte, il quale trasportò la sua armata in Italia passando attraverso il Gran San Bernardo per sorprendere alle spalle gli austriaci, ignari della sua rapida e silenziosa manovra, mentre occupavano la valle padana. I 40.000 uomini varcarono le Alpi in dieci giorni portando con loro 5000 cavalli, 50 cannoni, 8 obici. Il 15 maggio le avanguardie comandate dal generale Lannes raggiungevano l’Ospizio, mentre il trasporto dei cannoni attraverso l’alto strato nevoso dei 2000 metri avveniva faticosamente e per mezzo di tronchi svuotati sui quali erano fatti scivolare. L’equipaggiamento dei soldati di Napoleone era insufficiente infatti egli aveva loro promesso, mentre si lamentavano per la fame ed il freddo, le scorte ed i vestiari degli austriaci accampati al di là delle Alpi ; ma per ottenere questo avrebbero dovuto senz’altro vincerli ed in breve tempo. L’assistenza dei canonici dovette essere molto intensa in quel periodo per aiutare i soldati affaticati ed esauriti. Essi ricevettero un piatto di minestra, pane di segale, formaggio e vino e più della metà delle truppe trovarono ricovero nell’Ospizio e perfino nella chiesa del convento dove erano stati disposti giacigli di paglia. I canonici davano agli ammalati i loro letti e dormivano sulle panche e sui tavoli. Napoleone fu ospitato per tre giorni a Martigny nell’appartamento del preposito. Il 20 maggio usci a cavallo e ritornò all’Ospizio e la sera stessa, dopo un rapido pasto, partì nuovamente dirigendosi ad Aosta. Il 14 giugno combatté la battaglia di Marengo, dove uno dei suoi preferiti, il generale Desaix, trovo una morte gloriosa mentre alla testa delle sue truppe, con la sciabola sguainata, attaccava l’artiglieria austriaca. Per eternare la memoria di questo giovane eroe, Napoleone volle dargli per tomba la montagna e per custodi i monaci facendogli erigere lassù un sepolcro monumentale. Benché l’imperatore francese fosse un acerrimo nemico di tutti i conventi, egli non dimenticò mai ciò che i canonici avevano fatto per i suoi soldati e, fino al termine del suo potere, li ricompensò divenendo un benefattore dell’Ospizio.

I canonici d’oggi

Gli uomini che appartengono all’ordine del Gran San Bernardo sono canonici regolari secondo la regola agostiniana. Essi formano una congregazione esente. Il loro capo è un prelato mitrato o abate, chiamato preposito. Egli è scelto dal capitolo dei canonici e la sua nomina, che dura tutta la vita, è immediatamente sottoposta al parere della Santa Sede. Egli solitamente risiede nella prepositura di Martigny dove furono trasferiti recentemente dall’Ospizio del Gran San Bernardo il noviziato, la filosofia e la teologia e dove pure sorge una casa di riposo per i vecchi canonici. Il primo dignitario, dopo il proposito, è il priore del Gran San Bernardo. Gli altri dignitari dell’Ospizio sono l’infirmarius che è responsabile delle camere e degli ammalati, l’elemosinarius che riceve i passanti, il claviger (l’economo) al quale compete l’amministrazione delle finanze e la dispensa. La congregazione conta attualmente una cinquantina di membri, novizi compresi. Alcuni canonici reggono le nove parrocchie che sono sottoposte alla prepositura o lavorano come predicatori, missionari, professori, ecc. La maggior parte dei canonici e dei laici trascorrono alcuni anni sul Gran San Bernardo, che è anche casa madre, alcuni rimanendovi anche oltre venti anni. Da tempo quelli che vivono nell’Ospizio si sono dedicati oltre che agli studi di carattere religioso anche alle scienze naturali quali la botanica, l’entomologia e la geologia. Uno di loro, il canonico Murith (1742 - 1816), divenne famoso anche all’estero, come botanico, mentre attualmente sono noti i canonici Favre e Cerutti ai quali si unisce l’oblato Farquet (1945) per l’entomologia e la botanica. Nell’Ospizio si può visitare un piccolo museo storico e di scienze naturali. Le osservazioni metereologiche sono eseguite dal 1817 e giornalmente telegrafate alla stazione di Zurigo. Qualche visitatore del Gran San Bernardo è dell’opinione sbagliata che i monaci siano infelici e da compiangere per il totale isolamento nel quale vivono durante l’inverno. Infatti il paesaggio è nudo e selvaggio, l’inverno rigidissimo ed il soggiorno a quell’altezza pericoloso e difficile. Ma i canonici amano tutto ciò la montagna, quasi sempre incappucciata di neve, con tutti i suoi pericoli e con la sua bellezza sempre nuova ed imprevedibile, conduce più facilmente a Dio ed alla sua santità e permette una esplicazione più ordinata delle attività proprie dei conventi. Le strade del Signore sono cosi numerose ! Più un’anima si sacrifica e rinuncia per Dio, più lo trova, e ciò dà all’umanità maggior gioia di vivere che non tutto l’effimero splendore del mondo.

L’ospitalità ai turisti e le opere di soccorso

Compito dei canonici, oltre alla preghiera, è di essere d’aiuto con ogni mezzo ai viaggiatori che transitano sul passo. Ecco il loro statuto « ... debbono provvedere cibi, vestiario ed ogni altra cosa necessaria ai viaggiatori, specialmente se poveri ». Da quando è entrata in funzione la ferrovia e dopo lo sviluppo della rete stradale e il traforo, il compito dell’Ospizio naturalmente molto diminuito ; se però si presenta un’occasione di soccorso essa viene immediatamente assolta senza badare alla religione, alla professione od alla nazionalità di coloro che hanno bisogno. Ancora oggi esiste della gente povera che è costretta a valicare il passo a piedi ; a volte sono profughi, a volte emigranti in cerca di lavoro, contrabbandieri sorpresi dalla tormenta, guardie di confine e turisti ; qualche volta sono più di cinquanta in un giorno. L’ospitalità praticata è particolarmente necessaria durante i mesi invernali infatti l’alta montagna richiede, per tutti i pericoli che presenta, particolari misure di soccorso. Telefonicamente l’Ospizio avvisa i sottostanti villaggi di Bourg-Saint-Pierre e Saint-Rhémy che il passo è chiuso al transito fino a che l’enorme massa di neve che ricopre entrambi i lati dell’Ospizio non si sia assestata o non si sia staccata per le valanghe. Oltre a ciò, tutti i passanti sono pregati di annunciare telefonicamente all’Ospizio il loro passaggio in modo che, se è richiesto, un canonico può andare loro incontro con un servo che porta cibo, bevande ed equipaggiamento. Cosi, dopo averli incontrati, egli fa loro da guida conducendoli al passo senza il rischio d’incidenti che con questo sistema sono molto diminuiti. Se però qualche cosa succedesse al viaggiatore, nonostante l’assistenza, gli abitanti dell’Ospizio possono essere messi in allarme mediante una segnalazione di S.0.S. trasmessa da una delle cabine telefoniche che si trovano lungo il cammino. Il percorso più sicuro tra la neve profonda è segnato da lunghi pali che hanno concorso a salvare la vita ad innumerevoli persone.

Prima dell’invenzione del telefono, ogni giorno, con qualsiasi condizione atmosferica, due uomini dell’Ospizio dovevano, dal 11 novembre al 1mo maggio, scendere dai due lati del rifugio per soccorrere eventuali viaggiatori, confortarli con il cibo, aprire loro il cammino ed essere d’aiuto in ogni modo. Era questo un lavoro molto pericoloso che nei secoli ha voluto parecchie vittime infatti le due valli, ai lati del passo, sono particolarmente difficili perché per una lunghezza di 8 chilometri offrono una condizione favorevole alle valanghe. Ma grazie a tante misure precauzionali ed alla profonda conoscenza del fenomeno nevoso da parte dei canonici, solo 200 vittime, compresi gli abitanti dell’Ospizio infortunatisi, hanno funestato gli ultimi 200 anni. Nel caso che i parenti non richiedano la salma, essa viene messa nell’ossario che si trova a breve distanza dalla chiesa del convento. Si lega la salma in piedi ad un palo o ad un’asse (a causa dell’altitudine il freddo e l’aria povera d’ossigeno la conservano per molti anni intatta), quindi la salma, che si è asciugata lentamente, cade in polvere. Un altro tipo di cimitero, in questo deserto povero di terra, sarebbe impossibile.

I cani del San Bernardo

E’ stato scritto molto di buono e di lodevole sui cani oggi famosi in tutto il mondo, ma purtroppo anche molto di fantastico. Accontentiamoci di qualche notizia esatta. Questa razza non è da considerarsi, com’è ora consuetudine, d’origine svizzera, bensì orientale giunta quassù al seguito delle truppe romane d’occupazione. Alcuni di questi esemplari furono donati ai canonici non si sa precisamente quando, ma senza dubbio da alcune centinaia d’anni.

Dapprima furono impiegati come cani da guardia o per girare la mola, poi con il tempo i cani si adattarono al freddo intenso, all’enorme quantità di neve (essi possono rimanere nella neve con 20 gradi sotto zero per alcune ore), alla grande altitudine ed alle speciali condizioni della montagna. Hanno gambe corte, molto7 robuste, zampe larghe, petto forte ed ampio, pelo corto molto fitto, cuscinetti di grasso. Sono dotati di un fiuto eccezionale che permette loro, con il vento favorevole, di annunziare l’arrivo di viaggiatori che ancora si trovano a qualche chilometro di distanza. Il loro senso d’orientamento, anche durante la notte, con neve, nebbia, bufera, è infallibile. Posseggono uno speciale istinto che permette loro di evitare le valanghe che stanno per staccarsi. Tutte queste qualità preziose dei cani del San Bernardo furono presto individuate ed utilizzate. I cani del San Bernardo furono ammaestrati soprattutto a ritrovare nella notte, tra le valanghe, il cammino sicuro, il cosiddetto « pion » fosso o sentiero composto di neve fortemente compressa e battuta che dal fondo della valle portava sul passo. I cani, uno dopo l’altro, dovevano preparare il « pion » calpestando e livellando la neve molto profonda. A questo scopo servivano loro il petto e le larghe zampe. Dopo di loro seguivano i viaggiatori che potevano cose incamminarsi più celermente e con maggior sicurezza, uno dietro all’altro. Questi erano i compiti principali dei cani canonici e turisti erano, con matematica certezza, sempre ricondotti, dal loro senso d’orientamento veramente eccezionale, sul cammino sicuro verso l’Ospizio. A questo modo, i bravi cani hanno salvato la vita a centinaia di persone. Solo uno o due della muta dei cani sono ammaestrati per compiti più specifici come il ritrovare viaggiatori che si sono perduti allontanandosi dall’abituale sentiero, oppure il riportare alla superficie coloro che sono stati investiti da una valanga e coperti da enormi masse di neve. Questo ultimo caso però è molto difficile da riscontrarsi, perché assai raro. I cani del San Bernardo sono altresì cani da guardia di molto valore e più di una volta hanno tenuto a bada intere bande di predoni. Per secoli essi svolsero le loro mansioni come ogni altro animale domestico, senza che alcuno pensasse di lodare in modo speciale il loro operato e di narrarne la storia. Questo fino a che gli inglesi, grandi amici dei cani, incominciarono a praticare gli sports della montagna anche sulle Alpi, e vedendo i cani dei San Bernardo attirarono l’attenzione di tutto il mondo su di essi. Altre caratteristiche della loro razza sono muso corto, cranio rotondo, pelo rosso-bruno con strisce bianche sopra la fronte ed intorno al collo fino al petto, zampe e coda bianche ; il peso varia dai 50 ai 90 chilogrammi a seconda del sesso. Presi singolarmente i cani del San Bernardo sono pacifici e buoni, ma nella muta possono, nei giorni molto caldi, diventare irritati è pericolosi per gli stessi uomini. Questa ultima particolarità, che è comune a tutti i cani che vivono in muta, ha procurato ai canonici, negli ultimi anni, con l’intenso traffico turistico, preoccupazioni notevoli. I monaci, per evitare lo svantaggio di un grosso allevamento (sterilità, degenerazione), hanno ridotto il numero ad una muta di 10 - 12 cani che in ogni modo sono sufficienti per soddisfare ai disagi di cui parlavamo prima. Il valore sociale di questa razza si è però quasi completamente annullato con l’uso degli sci quale mezzo di trasporto. Solo raramente si ricorre ai cani del San Bernardo per un turista che si e smarrito, per un contrabbandiere, per un ricercato. Anche questi cani, come molti altri, dovranno un giorno forse non lontano essere sacrificati all’inesorabile passo della tecnica moderna.

La missione del Tibet

Tutti gli amici delle Alpi non dimenticheranno molto rapidamente il grande alpinista ed ancor più grande pontefice Pio XI. Egli fu, finché visse, un nobile amico ed un protettore dei Canonici del Gran San Bernardo. Nell’anno 1932 egli chiamò i canonici a cooperare all’evangelizzazione del lontano Tibet. Così, nel 1933, essi ricevettero un territorio di missione, una montagna alta e selvaggia, in parte ancora inesplorata, che si alzava sul Tibet proibito, il Tibet cinese, e la Birmania superiore. Un triangolo di terra dove i fondovalle raggiungono i 1000 metri, e le cime più alte sovrastano i 7000 metri, abitato da una popolazione mista, la maggior parte della quale è composta da tibetani, ma anche da caste antiche e poverissime, duramente vessate da cinesi, tibetani e birmani, e in procinto di estinguersi. Appena una via, che è un sentiero, ed arditi viottoli attraversano il paese raggiungendo i 6000 metri per alti passi invalicabili e superando imponenti fiumi di montagna, privi di ponti. Per varcare il letto ove scorre impetuosa l’acqua, ci si lascia penzolare nell’aria attaccati ad una grossa fune di bambù. Gli abitanti sono in genere persone dure, prive di pietà verso i deboli, abituate alla lotta senza quartiere per la conservazione della propria vita in mezzo a condizioni d’esistenza veramente drammatiche. Solo con la grazia di Dio e con l’esempio dell’amore cristiano verso il prossimo si può tentare di intenerire tali cuori di pietra. Potranno i canonici fare ciò, per mezzo della loro specifica conoscenza dell’alta montagna ? Lo potranno con l’aiuto di Dio e con l’aiuto attivo di tutti gli amici, svizzeri e stranieri, del Gran San Bernardo, poiché l’attività missionaria in tale territorio costa molti uomini e molto denaro. Dal 1932 al 1947 sono emigrati nel lontano Tibet 11 canonici dei quali tre, dopo 10 anni di soggiorno laggiù, dovevano essere rimpatriati perché ammalati. Uno di loro però annegava durante la traversata di uno dei pericolosi fiumi della montagna egli fu la prima vittima per il Tibet. La persecuzione del 1949 volle un’altra vittima nella persona del padre Maurice Tornay ed allontanò i canonici dal Tibet, i quali ora svolgono, nell’attesa, il loro compito missionario nell’isola di Formosa.

Progetti per il futuro

E’ corsa voce che, ben presto, almeno durante l’inverno, i religiosi se ne sarebbero andati dall’Ospizio. Infatti già dal 1947 il seminario si era trasferito nella pianura e, a sua volta, nel 1959 il noviziato aveva lasciato l’Ospizio per località di clima più mite. Ma la congregazione non ha mai pensato seriamente di abbandonare questi luoghi resi santi dai sacrifici e dalle virtù del suo fondatore. A meno che non si presentino circostanze eccezionali ed imprevedibili, una comunità continuerà, come per il passato, ad accogliere i viaggiatori in transito ed a cantare le lodi di Dio. Ci si può chiedere « Perché ostinarsi a mantener in efficienza un rifugio che non ha più ragione di essere » « E’ vero ! L’Ospizio non è più, come un tempo, la tappa obbligatoria delle numerosissime carovane che passavano le Alpi. Ora i paesi del nord sono uniti alle sponde del Mediterraneo per mezzo di linee ferroviarie rapide e sicure. Durante l’estate strade magnifiche sono aperte al traffico e permettono agevolmente di valicare i passi mentre alberghi ospitano turisti che desiderano fermarsi. Il genere d’ospitalità istituita da S. Bernardo in un’epoca lontana era allora perfettamente idonea alle esigenze del tempo. Ma oggi sarebbe ridicolo rimpiangere le difficoltà d’altri tempi rinnegando il progresso che vi ha portato un rimedio. In estate solo la curiosità spinge la maggior parte dei turisti ad entrare nell’Ospizio. Tuttavia, ogni giorno, gente di limitate possibilità economiche chiede da mangiare o di essere ospitata. A volte sono 10 persone, a volte 100 e più famiglie, comitive scolastiche, società. La quota richiesta è modesta e sempre proporzionata ai loro mezzi. Lo stesso avviene durante l’inverno, cioè per otto mesi all’anno, quando tutti sono alloggiati semplicemente, come in un qualsiasi rifugio di montagna dove l’ospitalità cordiale e spontanea fa dimenticare la mancanza di comodità.

Oltre a ciò esiste un’altra ragione che ci spinge a mantenere quassù in efficienza una comunità religiosa tra breve millenaria. Le collezioni d’oggetti raccolti nel museo dell’Ospizio provano che il colle del Mont-Joux, abitato fin dalle epoche più remote, fu sempre un luogo di preghiera e di sacrificio alla divinità originariamente agli idoli e poi, grazie all’intervento di S. Bernardo, al vero Dio. Potremo osare noi interrompere le lodi che da questa montagna s’innalzarono nel tempo a Dio ? Abbandoneremo questa antica casa di preghiera per fondarne un’altra altrove ? E allora dovremo pensare che la preghiera sia diventata un lusso inutile in questo nostro secolo distratto ed instabile ? No. Non vogliamo assumerci la responsabilità di una tale rinuncia ed è con gioia che noi continuiamo a vivere in questo antico monastero per celebrarvi il sacrificio della messa e perpetuarvi l’ufficio divino.

Inoltre ci impone di vivere quassù un’altra ragione, questa volta non sentimentale ma imperiosa, poiché ci viene dall’autorità suprema della Chiesa. S. Bernardo è stato solennemente proclamato patrono degli alpinisti e degli abitanti della montagna e perché una decisione tanto importante abbia un’attuazione pratica è necessario che i fedeli ne siano informati, che sia conosciuto l’eroe delle Alpi. E chi meglio della comunità dell’Ospizio, dei suoi figli spirituali che hanno l’immensa felicità di vivere nella sua casa, potrebbero farlo conoscere ? L’alpinismo si è molto sviluppato in questo nostro tempo. Sotto forme diverse quali lo sci, le escursioni, le scalate, è divenuto uno degli sports più popolari. Per alcuni, partire per la montagna significa dimenticare per un poco tutti gli assillanti problemi della vita di un giorno, per altri è un balsamo per la salute malferma, per altri ancora una scuola di formazione di carattere, di padronanza di sé. Alcuni canonici dell’Ospizio hanno voluto praticare, per farsene un’utile esperienza, l’alpinismo moderno. Hanno partecipato a corsi d’addestramento al salvataggio indetti da svariate associazioni. Altri hanno frequentato con passione le lezioni per le guide sostenendo gli esami e meritandosene il titolo ed ora sono in grado di assolvere con maggior competenza gli incarichi che sono loro affidati.

A questo punto ci si può chiedere « Ma l’alpinismo è soltanto questo ? Uno sport più completo degli altri ? Può esso offrire alimento alla vita spirituale ? Può integrarsi in una vita cristianamente vissuta ? La questione merita di essere esaminata a fondo. Il papa Pio XI ha voluto dare un protettore a tutti coloro che frequentano la montagna, ma soprattutto ha voluto indicare un modello di vita. E’ evidente che l’eroe delle Alpi, colui che è l’onore e la luce del nome cristiano » (lettera del Sommo Pontefice), ha cercato nella montagna altra cosa che non sia l’esibizionismo, il piacere dell’evasione o una cura per la salute. Vi ha trovato il raccoglimento, il distacco dalle cose umane, l’amore del prossimo. Continuare l’opera di S. Bernardo là dove egli ha vissuto, apportandovi le modifiche che il nostro tempo esige, continuare ad offrire il sacrificio ed a cantare le lodi di Dio ; tentare di meglio comprendere il vero volto della montagna, le sue risorse umane e spirituali ; dare agli alpinisti che lo desiderano l’occasione di incontrarsi, di pensare insieme, di unire le loro esperienze per vivere una vita cristiana più completa è in questo senso che vuole orientarsi la vita dell’Ospizio, nella fedeltà al suo fondatore e nell’intento di adattarsi alle condizioni attuali.